di Marilia Argentino
Tra gli eventi previsti nell’ambito di “Narrazioni davanti alla porta” promossi e realizzati dall’Amministrazione comunale di San Benedetto Ullano, presso la porta narrante di Palazzo Bisciglia è stata presentata l’ultima fatica letteraria di Adele Filice, giornalista e scrittrice, dal titolo “Di terre e tavole. Il gusto della memoria”. È toccato al Presidente dell’Accademia delle Tradizioni Enogastronomiche di Calabria, Giorgio Durante, presentare il libro, sottolineando il contesto storico-sociale che ha ispirato l’autrice, lasciando peraltro alla stessa il racconto dei contenuti. “Nessuno meglio dell’autrice è in grado di rappresentare questo spaccato di vita rurale che, nelle modalità di narrazione è un vero e proprio affresco capace di stimolare tutti gli organi sensoriali di cui siamo dotati”. Questa la sintesi del Presidente dell’Accademia. Dopo i saluti del primo cittadino, Rosaria Amalia Capparelli, che non ha mancato di sottolineare l’importanza di questi incontri per una comunità come quella di San Benedetto Ullano – incontri che stimolano la partecipazione e arricchiscono culturalmente una comunità – Adele Filice ha brevemente tratteggiato il suo racconto definendolo: “Prezioso arazzo di parole scritte – intessuto sull’ordito della memoria familiare, a cui s’intrecciano le trame delle memorie dei sensi, dei rituali ma anche dei sentimenti e degli affetti”. Questo lavoro, continua l’autrice, è una piccola testimonianza di un vissuto personale in cui s’incrociano quelli delle persone che hanno fatto parte della sua infanzia e il motivo principale che ha condotto alla sua stesura si può rintracciare in un flusso di memoria, fatto di saperi e sapori contadini, profumi, tradizioni materiali e linguistiche che sarebbero andate perdute se non fermate sulla carta. Adele Filice si sofferma su immagini che raccontano corse sull’aia, scorpacciate di ciliegie appena raccolte, la vera e propria festa della trebbiatura, i colori e i profumi della spasera l’insieme delle cannizze, i graticci di canne e di salice su cui si adagiavano i fichi per farli essiccare e farne poi ficu mpurnati, crucette, pratte e palluni. Dal racconto – costituito da decine di scene di vita bucolica – si sprigiona un coinvolgimento emotivo totale che stupisce il lettore. Pure i più giovani, che vivono il web e i social, hanno modo di interrogarsi su come la vita poteva e possa ancora essere diversa con un approccio slow e come l’armonia e la felicità possano non dipendere dal possesso di capi firmati o ricchezza materiale. La terminologia utilizzata, soprattutto dialettale, rende lo scritto una sorta di accademica enciclopedia dei gerghi antichi. Ciò che traspare da questi affreschi di vita passata – dove le descrizioni delle pietanze sono solo un armonioso contorno – é che le comunità e le famiglie erano coese e condividevano momenti di grande consonanza; nessuno correva, nel rispetto dei cicli naturali e dell’alternarsi del giorno e della notte. Un mondo che appare lontano nel tempo, rispetto alla schizofrenica quotidianità che viviamo oggi.