Lo scorso 26 gennaio si è tenuto a Reggio Calabria presso l’auditorium Don Orione, un incontro-dibattito dal titolo: “I soldati di Dio – Storia dei cappellani militari nella grande guerra”, voluto ed organizzato dalla delegazione della provincia di Reggio Calabria dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon (INGORTP).
L’evento, è stato inserito in coda ad un programma, che l’INGORTP ha svolto su tutto il territorio nazionale a commemorazione del centenario della prima guerra mondiale, che ha avuto inizio nell’anno 2014, a cento anni dallo scoppio della prima guerra mondiale.
Ad aprire i lavori è stato il delegato INGORTP della provincia di Reggio Calabria Dott. Giovanni Guerrera, che ha voluto fortemente la realizzazione dell’evento. Dopo i saluti ed i ringraziamenti di rito, il Dott. Guerrera ha posto l’accento sul grande ruolo che hanno avuto i cappellani militari nella Grande Guerra.
Ha introdotto le relazioni il Dott. Floro De Nardo, ispettore per la regione Calabria dell’INGORTP, che dopo aver ricordato tutte le iniziative organizzate dall’INGORTP in Calabria, ha ricordato due personaggi illustri quali san Giovanni XXIII, al secolo Angelo Giuseppe Roncalli, che fu chiamato alla armi nel 1915 arruolandosi come sergente nella 3a Compagnia di Sanità e, San Pio da Pietralcina, al secolo Francesco Forgione, che fu coinvolto in prima persona come religioso nella Grande Guerra, sebbene la sua esperienza in uniforme durò poco a causa delle sue cagionevoli condizioni di salute. Non solo, De Nardo ha sottolineato che anche la Calabria ha portato la fede in trincea, menzionando in particolare due figure: Don Carmine Cortese di Tropea che il 17 maggio 1915, fu assegnato come cappellano militare alla Milizia mobile del 19° Reggimento Fanteria partecipando alla disfatta di Caporetto e internato nel campo di concentramento in Boemia; insignito della medaglia di bronzo al valore militare per poi rientrare a Tropea. L’altro cappellano militare calabrese ricordato, è stato Mons. Demetrio Moscato originario del rione Gallina di Reggio Calabria, arruolato nell’esercito nel 30° Reggimento Fanteria, facente parte della Brigata Pisa, partecipando a tutte le battaglie per la conquista dell’Isonzo e del Piave, distinguendosi sempre per l’impegno ed il coraggio, al fianco dei commilitoni; ciò gli valse più di una medaglia al valore militare.
Le due relazioni sono state svolte dalla storica Dott.ssa Francesca Parisi e dal Dott. David Truscello Ispettore alla cultura dell’INGORTP.
La Dott.ssa Francesca Parisi, che si occupa di storia dei Carabinieri, ha inteso tratteggiare alcuni punti di contatto dell’attività dell’Arma con la dimensione umana del fenomeno bellico, quale l’interesse e la comprensione per la popolazione e i soldati coinvolti nel conflitto. Con riferimento al primo aspetto la relatrice ha delineato l’intervento nelle terre occupate, con particolare riferimento a una più ampia visione della polizia militare. Il caso di studio ha riguardato la relazione di un Comandante di reparto territoriale provvisorio, istituito in territorio conquistato, che invitava i Carabinieri, oltre al consueto rigore, anche alla comprensione e alla “amorevolezza” nei confronti delle popolazioni, anch’esse provate dalla guerra, e nei confronti degli stessi soldati, stremati dalla durata della guerra e bisognosi di parola confortatrice. Il secondo aspetto ha riguardato il fenomeno delle Case del Soldato, comparse già nel 1915, la cui direzione, dopo qualche tempo, venne affidata a un Ufficiale dell’Arma. Un incarico di notevole responsabilità, con riferimento soprattutto alle notevoli somme e alla mole di doni provenienti da tutto il paese, che l’Ufficiale seppe portare a termine coniugando da un lato le esigenze dei soldati e il loro innalzamento culturale, morale e spirituale, dall’altro la gestione rigorosa degli ingenti beni amministrati. Questo dunque il binomio che caratterizzò l’Arma nel primo conflitto mondiale e che risulta ancora in gran parte inesplorato dagli studi sinora intrapresi: rigore e insieme profonda comprensione e umanità nei confronti della popolazione e dei soldati.
Il Dott. David Truscello ha esordito affermando, che l’appena trascorso Centenario della Vittoria nella Prima Guerra Mondiale, ha offerto la possibilità di indagare episodi e accadimenti che sono rimasti troppo a lungo all’ombra della storia e tra le pieghe dei pregiudizi ideologici nel Novecento. A tal proposito, ha affermato nel suo magistrale intervento che, lumeggiare la storia dei 2.700 cappellani militari nella Grande Guerra può, a ragione, coprire questo ritardo. Il clero militare in trincea – ha evidenziato – ha infatti contribuito alla tenuta generale delle Forze Armate dal punto di vista spirituale e morale. Non di meno si è reso protagonista di nobili fatti d’arme e come il resto delle armate ha sofferto gli stenti della guerra in trincea, nella sanità e in prigionia. Nell’ambito degli studi storici emerge ormai univoca l’importanza nel Primo conflitto mondiale della figura del prete in battaglia, intento a svolgere il suo apostolato e a costituire una cerniera di trasmissione tra i comandi e le truppe, e un fondamentale ammortizzatore emotivo rispetto alle angosce dei soldati. Non sfugge in tal senso la Casa del Soldato, ideata da un cappellano per i momenti ricreativi dei soldati logorati psicologicamente dal conflitto. Infine, ha concluso il Dott. David Truscello, la preghiera, la cura dei feriti, il culto dei morti, la distribuzione dei sussidi e dei doni, costituiscono soltanto alcuni aspetti del rapporto intercorso tra i soldati e i cappellani militari, i quali si occupavano anche dei 24.000 preti-soldato al fronte: conversi, novizi, seminaristi e chierici che condividendo i sacrifici della trincea con i fanti hanno sostenuto lo sforzo bellico per la vittoria.