di Bruno Sganga
Sono 50anni esatti che scrivo, dialogo e foto-video di agroalimentare (prima la Terra) ed enogastronomia (poi le tavole), e con orgoglio ho scelto da poco di risiedere in Calabria, terra originaria dei miei genitori, dopo intense storie di vita e lavoro in millanta luoghi che ancora in parte percorro per raccontare e conoscere di questo magnifico mondo di prodotti, cibi, piatti e vini che vanno vissuti in prima persona. La Calabria mi è nel cuore ovviamente, ma ogni qual volta leggo di esaltazioni varie, soprattutto su social e web, ricordo che non v’è luogo d’Italia che non abbia scenografie naturali, arte, storia e cultura che s’intrecciano con un’enogastronomia d’eccellenza. Vero è invece che questa sorta di recupero nel far riconoscere e valorizzare questa Regione ha origini lontane, come si può evincere da alcune delle note “storiche” che seguono. Per cui premiare e coadiuvare con iniziative come la “Accademia Tradizioni enogastronomiche di Calabria” e la testata giornalistica indipendente “Calabrialibre” è un dovere prima ancora che un piacere! Dunque, avvio queste premesse, soprattutto riferite a bene interpretare metodi da utilizzare per valorizzare identità e qualità, con utili richiami documentativi per capire bene come fare in modo tale da ottenere risultati ben diversi rispetto ad una conoscenza limitata ed immagine della Calabria che ancora si trascina. In una delle mie ultime visite calabresi con Luigi Veronelli (di cui ho coordinato tante sue attività editoriali e non solo per lunghissimi anni) preparammo un numero speciale della bellissima ed antesignana (per quei tempi) rivista “L’Etichetta, con “Linea diretta con la Calabria” (n.ro 33 luglio 1991) ove Gino, così chiamato dagli amici, scrisse questa introduzione. “La Calabria – oltre che di momenti e tradizioni – ha serie infinita di cibi e di vini, ed io sono convinto che il suo resurressi, così atteso, passi anche attraverso la loro riscoperta. Serie infinita, vedi ad esempio l’ancestrale proposta delle melanzane: fritte, arrosto, ripiene, al funghetto, sott’olio, in agrodolce, in parmigiana, a scapece alla reggitana, alla finitese, alla ratese, alla rossanese, a polpette, in ciambotta, ed in altri, molti altri, modi. E vedi i vini: non v’è paese che non ne abbia uno suo, singolare ed incisivo. La terra e la “gens” che possiedono per il magistero di secoli, un tale patrimonio di monumenti, tradizioni, cibi e vini, hanno solo necessità di buona volontà e confidenza. Il futuro dell’uomo, così condizionato dall’esigenza qualitativa, è proprio nella messa in valore dei “momenti” positivi – anche per quanto concerne i cibi ed i vini – del proprio passato”. Se dunque ad un unico ed inestimabile protagonista come Veronelli era ben chiara la Calabria ed il suo valore, ecco che le cose cambiano per altri commentatori di pur notevole livello in questi ultimi anni e da cui è ancora difficile sottrarre certe limitate visioni per q2uanto in parte realistiche. Come da alcune edizioni della “Guida gastronomica e dei vini d’Italia” Ediioni La Navicella tra anni ’70 ed avvio anni ’80. Per cui: “Terra di antiche costumanze, la Calabria in fatto di gastronomia non ha veri e propri piatti tipici di universale rinomanza, ma la sua cucina è soddisfacente e saporita e nei suoi vari vini possiede vini assai pregiati per finezza e di profumo e sapore unita ad una particolare generosità”. Come dire, ben poco, ma neanche tanto diverse, visto che un giornalista lombardo che andava per la maggiore in quegli anni, Antonio Piccinardi (direttore e fondatore con altri della mitica rivista “La Gola”), a proposito di vini, nel suo “Dal Dizionario dei Vini Italiani” del 1991, edizione Rizzoli (con dedica iniziale “a Lugi Veronelli, di noi tutti precursore e maestro impareggiabile”), pur sempre scrive: “I vini della Calabria sono vini agresti, contadini per eccellenza, che non hanno ancora subito la rivisitazione della tecnica contemporanea. L’auspicio è che la tecnologia s’innesti con equilibrio valorizzando l’antica tradizione di questi vini che oggi hanno unicamente una diffusione locale”. Un augurio cxerto encomiabile, ed in parte poi seguito, ma che non migliora la limitata conoscenza e racconto di quei vini a quei tempi. Per altro negli anni 2000 la situazione d’immagine non era poi così tanto mutata visto che ne “La grande enciclopedia della gastronomia” del laborioso e preparato Marco Guarnaschelli Gotti, edizione Mondadori con tante ristampe, si legge: “A torto considerata una cucina “povera”, quella calabrese ha invece antiche e nobilissime origini: non poche ricette risalgono agli albori della civiltà della tavola mediterranea, ispirata alle usanze dei greci e dei latini; altre sono state introdotte dagli arabi, dai normanni, dagli spagnoli e dai francesi. Forse in rapporto alla caratteristiche geografiche della Regione, anche la cucina dell’antico Brutium (nome latino della Calabria), è piuttosto complessa, seppure generalmente sobria ed austera. Quasi sempre si nasconde dietro definizioni piuttosto ostiche, a causa d’un dialetto difficile, fra l’altro diverso da provincia a provincia”. Ecco come dunque si ravvisa la vera grande caratteristica calabrese, d’una Terra che varia da luogo a luogo, a volte frazione a frazione, sia nelle cucine e piatti che anche nei vini, e così tanto che oggi questa diversità, che è un patrimonio prezioso ed impagabile proveniente dall’antico.., bisogna saperlo trasmettere e rappresentare. Ma non in una gara di classifiche e graduatorie varie o primeggiando rispetto a pari prodotti d’altre regioni italiane, quanto a far riconoscere tali identità e qualità nella loro unicità e caratteristiche, da cui possono derivare usi e degustazioni eccellenti. Qualcosa che in fondo, considerando il periodo storico, si manifestava appena nella prima e vera “Guida gastronomica d’Italia” (1° edizione del 1931) a cura del Touring Club Italiano, ove si poteva leggere quanto segue. “Le tre provincie calabresi (ndr, di allora) hanno delle costumanze gastronomiche perfettamente simili, certamente improntate alla fisionomia generica della cucina meridionale, ma con numerose vivande che per la confezione e l’aspetto si possono considerare caratteristiche della regione. La descrizione che segue si riferisce quindi all’intera culinaria calabrese; seguirà ad esse l’indicazione dei singoli prodotti alimentari e delle più tipiche specialità per i diversi centri”. Mentre sui vini calabresi, non menzionando neppure l’olio pur essendo già allora utilizzato per correzione di tantissimi extravergini italiani, “La produzione vinicola della Calabria ha molta importanza per gli ottimi vini rossi da taglio ed a mezzo taglio, robusti di colore, alti d’alcool (da 13 a 15 gradi) che sono assai ricercati in molte parti d’Italia. E quindi largamente esportati. Oltre di essi sono a segnalare alcuni tipi di vino meritatamente pregiati e noti”. Certo, negli ultimi dieci anni la Calabria agroalimentare ed enogastronomica ha fatto passi da gigante nel farsi riconoscere e nel riconoscere, i calabresi stessi, il patrimonio e valore dei suoi prodotti soprattutto artigianali e del loro immenso uso nelle tavole di qualità. Ma tanto ancora c’è da seminare e pure ribellandosi ancora verso interpretazioni scontate od ignoranza diffusa, privilegiando con forza questa cornucopia d’ammaestramenti del vivere bene di cui la Calabria è patria secolare al di là degli sciacalli di violenza ed umana mediocrità che ancora la oltraggiano.